sabato 29 dicembre 2012

La depressione: il dolore dell'anima - Dott.ssa M. Rosaria Fasciani

La depressione: il dolore dell'anima

Nel mondo contemporaneo la depressione sembra essere diventato il disagio mentale più diffuso. Quasi sempre, dietro stragi di intere famiglie, uxoricidi, infanticidi e scomparse di persone si scopre costantemente la presenza di disturbi depressivi ma non è necessario arrivare a rilevare la depressione nei fatti di cronaca, essa si può scovare nella normale vita quotidiana delle persone, si stima che ne soffrono o ne hanno sofferto circa il 20% della popolazione generale e le previsioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano un peggioramento: la depressione sarà la seconda causa di disabilità entro il 2020.
In verità, la depressione ha attanagliato la vita degli umani (e degli animali) da sempre e non solo negli ultimi decenni.
Le primissime descrizioni sulla depressione risalgono addirittura a 5000 anni fa, su antichi papiri egiziani nei quali troviamo descrizioni cliniche ancora attuali e racconti sull’elevata incidenza del suicidio mediante l’affogamento nel Nilo nell’epoca dei faraoni.
Anche nella Bibbia è possibile cogliere le frasi tipiche del depresso; per esempio Quoelet nell’Ecclesiaste dice: “Ho preso in odio la vita, perché mi è sgradito tutto quanto si fa sotto il sole. Ogni cosa è infatti vanità, è un inseguire il vento” e la storia   dell’Antica Grecia e dell’Impero Romano è piena di filosofi  e non che hanno scelto di togliersi la vita perché tormentati dal  “mal di vivere”.
Come si riconosce la vera depressione? 
Se ne parla così tanto che si rischia di abusare del termine confondendo la depressione con la tristezza o la stanchezza, per esempio.
Facciamo chiarezza sul reale significato  di depressione e diciamo, per prima cosa, che la depressione è un disturbo dell’umore.
Il tono dell’umore è una funzione psichica importante nell’adattamento al nostro mondo interno ed esterno e ha la caratteristica della flessibilità, ossia è orientato verso l’alto quando ci troviamo in situazioni positive e piacevoli ed è orientato verso il basso quando ci troviamo in situazioni negative e sfavorevoli.
Quando si è depressi il tono dell’umore flette rigidamente verso il basso senza più rispondere alle situazioni positive, il sentimento dominante è la tristezza e l’angoscia e tutte quelle attività che prima venivano svolte con piacere non danno più soddisfazione.
Secondo il DSM IV si può diagnosticare un episodio depressivo maggiore
quando sono contemporaneamente presenti, da almeno due settimane, cinque o più dei seguenti sintomi:
  • Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto (per es. si sente triste o vuoto) o come osservato dagli altri (per es. appare lamentoso).
  • Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri)
La perdita degli interessi è uno dei primi indicatori dell’episodio depressivo, il basso tono dell’umore si manifesta successivamente.
Il depresso vive sentimenti di noia, apatia e mancanza di slancio vitale. Non trova più piacere in nulla (anedonia) e tutte le attività ricreative di un tempo diventano noiose e stancanti.
Anche la libido subisce un brusco calo, solitamente il paziente riferisce di non provare più desiderio sessuale.
  • Significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento del peso (per es. un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese), oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno;
  • Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno;
Anche in questo caso, si possono verificare le due situazioni opposte:
il paziente può dormire pochissimo e le sue poche ore di sonno sono caratterizzate da agitazione, incubi e sonno leggero, (talvolta i tracciati elettroencefalografici indicano come in questa patologia alcuni stadi del sonno vengono soppressi) spesso si sveglia prima dell’alba in preda all’ansia e rimugina sul suo mal di vivere. Oppure può dormire tantissimo, praticamente sempre, forse per evitare di affrontare le giornate che per lui sono diventate prive di importanza.
  • Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato);
  • Affaticabilità o mancanza d’energia quasi ogni giorno;
  • Sentimenti autosvalutazione o sensi di colpa eccessivi o inappropriati ( che possono essere deliranti), quasi ogni giorno (non semplicemente  autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato);
  • Ridotta capacità di pensare, di concentrarsi o indecisione, quasi ogni giorno (come impressione soggettiva o osservata dagli altri);
  • Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidarla senza n piano specifico,  un tentativo di suicidio, o l’ideazione di un piano specifico per commettere suicidio.
L’ideazione suicida è presente nei 2/3 dei pazienti. Nella maggior parte dei  casi ci si ferma alla sola ideazione, ma talvolta la convinzione che non esistano possibilità di trovare aiuto e la perdita di speranza portano il depresso  a vedere il suicidio come l’unica vera possibilità di liberazione dalla sofferenza o come la giusta punizione per le colpe commesse.
Il rischio di suicidio va sempre valutato nel paziente depresso e laddove esistono reali possibilità è necessario l’invio allo psichiatra, una terapia farmacologica adeguata e, nei casi più complicati, l’ospedalizzazione.
  • Disturbo depressivo maggiore i cui sintomi sono quelli citati sopra in forma grave. Possono coesistere anche tratti psicotici transitori. Spesso si tratta di episodi depressivi che tendono a ripresentarsi nel tempo.
  • Disturbo distmico in cui i sintomi sono presenti in forma più lieve ma hanno la caratteristica della cronicità.
  • Depressione reattiva in cui i sintomi presenti in maniera più o meno intesa sono sostanzialmente la risposta a lutti, separazioni e gravi perdite che hanno destabilizzato la vita del paziente.
Un esperto sin dai primi colloqui può riconoscere facilmente i sintomi della depressione. I racconti del paziente, il suo aspetto dismesso, le sue lente movenze, la scarsa gestualità, il volto quasi inespressivo a parte i sorrisi forzati  rivelano da subito un tono dell’umore basso, scarso entusiasmo, poco interesse per se stesso e per il mondo circostante, sfiducia.
E’ comunque indicata anche una valutazione psicodiagnostica con cui sarà possibile avere una conferma di diagnosi, un indice di gravità del disturbo e ulteriori informazioni sui tratti di personalità del soggetto.
I test più utili sono il BDI, L’MMPI-2 e il BPRS in cui esistono items da valutare mediante il colloquio diretto e attraverso l’osservazione del comportamento e del linguaggio del paziente.
Perché ci si ammala di depressione?
Questa è una delle domande più critiche che si possano fare in tema di depressione. 
Intanto, diciamo che la depressione può essere provocata  anche dall’utilizzo di alcuni farmaci (anticonvulsivanti, antistaminici, antipertensivi, antitumorali, corticosteroidi, estrogeni, benzodiazepine, L-dopa), droghe (alcool, eroina e cocaina) e può svilupparsi in concomitanza a certe patologie ( Demenze, neoplasie, anemie, ipotiroidismo,infarto del miocardio, ictus, malattie reumatiche).
Nelle persone depresse che non fanno abuso di droghe, che non usano farmaci e che non presentano patologie suddette il discorso diventa molto più ampio e complesso perché in questo caso entrano in gioco fattori genetici e fattori legati alla personalità.
Esistono persone che non hanno mai vissuto un vero episodio depressivo nella propria esistenza ed esistono casi in cui, a seguito di uno stesso evento traumatico, qualcuno ha risposto abbandonandosi alla depressione e qualcun altro ha risposto con più resistenza.
Anche se non esiste il gene della depressione sono stati individuati numerosi geni che predispongono a questa malattia che consiste, dal punto di vista organico, in un difetto di trasmissione degli stimoli nervosi. 
Quasi certamente c’è ereditarietà nella depressione, ma  è anche vero che aver vissuto con un familiare stretto che ha sofferto di depressione rende possibile imparare  a ragionare su se stessi e sul mondo nella stessa maniera negativa. Ecco quindi che la depressione può diventare uno stile di pensiero appreso nel corso della propria esistenza, spesso sin dall’infanzia, a seguito di risposte ricevute dall’ambiente poco idonee a costruire un immagine del sé salda, positiva e realistica, in cui l’aspetto genetico diventa solo qualcosa che favorisce il pensiero depressivo ma non la causa principale.
Perciò, i più colpiti dalla depressione sono coloro che sviluppano tipiche strutture di personalità con cui tendono ad essere critici e svalutativi con se stessi e con il resto del mondo, tendono all’isolamento o sono dipendenti dagli altri, hanno autostima e autoefficacia bassa.
Come  intervenire nella depressione?
A parte i casi di depressione grave in cui è stato valutato un reale rischio di suicidio per i quali è necessaria, in prima istanza, una terapia farmacologia, per sollevarsi dalla depressione è consigliato un sostegno psicologico che miri a trasformare il pensiero depressivo (irrazionale,negativo,distorto) in un pensiero più positivo e realistico.
Il paziente depresso ha una modalità tipica di pensiero con cui interpreta se stesso e il mondo in maniera alterata, ogni valutazione (sempre negativa) che compie non si basa mai su fatti concreti,  interpreta la realtà in modo distorto. Ciò che pensa non è mai dimostrabile, né congruente alla realtà. E’ come se inforcasse un paio di occhiali con lenti fortissime che alterano la percezione degli oggetti e con essi osservi il mondo e se stesso.
Lo psichiatra statunitense A. Beck ha descritto dettagliatamente il pensiero depressivo e ritiene che sia caratterizzato da:
  • Percezione negativa del se
  • Percezione negativa del mondo
  • Percezione negativa del futuro
Il pensiero depressivo è pieno di pensieri automatici ricorrenti , che sono considerazioni che il paziente fa in maniera rapida e inconsapevole quando si trova dinanzi a situazioni a cui deve rispondere.
Questi pensieri possono essere:
  • Devorizzazioni ( per es. devo essere perfetto, devo essere all’altezza della situazione);
  • Catastrofizzazioni, ossia gli eventi vengono considerati in maniera estrema sovrastimando gli aspetti negativi e annullando gli aspetti positivi;
  • Ipergeneralizzazioni, il verificarsi di eventi negativi viene trasformato come qualcosa che si verifica sempre;
  • Lettura di pensiero, il depresso è convinto che  gli altri pensino di lui cose negative senza che essi le abbiano mai dichiarate;
  • Personalizzazione, è una sorta di egocentrismo con cui con ogni avvenimento dell’ambiente circostante viene ricondotto a se stessi.
Ciò che possiamo  fare per  aiutare un paziente depresso è dimostrare l’infondatezza di questo  tipo pensiero.
Per arrivare a ciò è necessario, innanzitutto, sviluppare una sana relazione terapeutica in cui vi sia accettazione, rispetto e  comprensione empatica  del paziente, della sua storia e dei suoi problemi. 
In questa fase è utile educare il paziente alla depressione, possiamo spiegargli che cosa è , che la visione negativa che ha di se stesso  e del mondo non è realistica ma è conseguenza del momento depressivo che sta attraversando e che gli episodi depressivi migliorano e poi finiscono. 
Poi, si potrà iniziare un’accurata analisi funzionale dei pensieri automatici che vengono messi in atto in diverse situazioni di vita del paziente. Si parte da un evento, si fanno esplicitare  tutti i pensieri che al paziente vengono in mente circa quella situazione e si collegano le emozioni ( si può utilizzare la scheda ABC).
In questo modo il paziente diventa più consapevole dei suoi pensieri automatici e irrazionali e lo psicologo avrà la possibilità di lavorare direttamente su essi attraverso domande che mirano a dimostrarne l’incongruenza e l’esistenza di altri modi di percepire la realtà. 
Parallelamente a questo lavoro si può spingere il paziente a ridurre le sue ore passate in sedentarietà aumentando i contatti sociali, uscendo con amici, impegnandosi in nuove attività. 
Se il paziente è resistente a ciò gli si può spiegare che sperimentarsi nei rapporti d’amicizia e in nuove situazioni è utile per continuare a lavorare sui pensieri automatici così come viene fatto in seduta. 
Per questo possiamo chiedergli di tenere un diario su cui appuntare tutti i suoi pensieri ed emozioni sorti in contesti critici eppoi discuterne insieme.
Nei primi periodi può essere utile utilizzare un’agenda su cui scrivere tutti i compiti da svolgere nella giornata.
Si parte sempre da pochi e semplici compiti, in modo che il paziente non senta immediatamente il senso dell’inadeguatezza e della sconfitta. 
Successivamente si potrà passare a compiti più complessi e in questo caso si attuerà una discussione razionale che ha lo scopo di preparare il paziente ad affrontare difficoltà, imprevisti o, eventualmente, sconfitte. Gli si può chiedere quali sono le sue previsioni sul compito da svolgere, se si tratta di previsioni realistiche o idealistiche. Cosa potrebbe pensare se il risultato non sarà quello aspettato. Si può chiedergli di fare una lista di tutte le problematiche a cui potrebbe andare incontro e una lista di tutte le soluzioni possibili e si possono individuare le soluzioni che appaiono più idonee.
Queste sono strategie che migliorano il senso di autoefficacia del paziente: con il tempo imparerà a concedersi dei riconoscimenti e dei meriti, imparerà a stimare in modo più reale successi e fallimenti, riconoscerà le sue abilità e i suoi limiti e migliorerà le sue capacità di coping .
L’aumento di autoefficacia comporta un aumento del livello di autostima: Il paziente si sentirà più fiducioso in se stesso, si accorgerà che non è l’artefice solo dei suoi insuccessi ma anche dei suoi successi. Sentirà che “non essere perfetto” fa parte della condizione umana e che si può essere ugualmente meritevoli d’amore.
Il paziente lamenta tristezza profonda, malinconia, angoscia, senso di vuoto e inutilità, sentimenti di perdita e lutto. Tutto appare irrisolvibile, insormontabile, grigio e tetro. Anche la percezione del tempo si modifica: le ore, le giornate sembrano non passare mai “tutto è fermo, immutato, senza possibilità di cambiamento”. Riferisce di non provare più affetto per nessuno e si sente in colpa per questo. Spesso è colto da crisi di pianto o, al contrario vorrebbe piangere ma non riesce a farlo.
Il depresso perde interesse per il cibo. Riferisce di non gustare i sapori, di sentire l’addome gonfio e la bocca secca e amara. Può accadere anche l’esatto contrario, ossia può mangiare ossessivamente (iperfagia)  quasi come per riempire il suo senso di vuoto.
Si manifesta una riduzione dei movimenti spontanei, un impoverimento della mimica che può portare ad un aspetto inespressivo. Il linguaggio non è più fluido, è monotomico e scarso di contenuti e idee, le risposte sono brevi.
Il paziente si definisce sempre stanco, sente difficile e faticoso intraprendere qualsiasi azione.
Il depresso tende sempre a svalutarsi, a disprezzarsi a sentirsi inadeguato; rumina incessantemente sulle sue colpe e sulle sue incapacità. Prova forti sensi di colpa e si giudica indegno per la sua incapacità di guarire, per il suo egoismo e per la sua pigrizia.
Si possono verificare disturbi dell’attenzione e della memoria. Il paziente non riesce a mettere insieme le idee e, di conseguenza, è incapace di prendere qualunque decisione. Ha difficoltà a concentrarsi per individuare strategie e soluzioni,  lamenta di sentire la testa vuota e di stancarsi facilmente se impegnato in compiti che richiedono attenzione sostenuta.
I sintomi fin qui esposti possono essere presenti in modo più o meno grave nelle diverse forme di depressione, le quali sono:
Il paziente ha un’opinione negativa di se stesso: si considera non amabile, non gradevole, non intelligente, senza valore. Ritiene di aver commesso numerevoli errori e di aver rovinato la propria vita. Fa attenzione e ricorda solo gli insuccessi, gli eventuali successi sono attribuibili a fortuna o a cause non dipendenti da lui. Non riesce a godere delle cose belle che la vita gli offre perché ritiene di non meritarle e di non esserne degno. Ogni lavoro che svolge è criticabile e il pensiero che lo accompagna è: “dovevo fare  meglio”. Pretende da se stesso “solo” la perfezione.
Il depresso è eterocommiserativo, cinico, non ha fiducia negli altri. Ritiene che nessuno può amarlo davvero e se qualcuno mostra affetto per lui è solo per secondi fini. Non riesce a cogliere aspetti amichevoli nel comportamento altrui, nota solo gli atteggiamenti che, secondo la sua opinione, sono segno di disapprovazione.
Il futuro offre solo prove e situazioni che lui non riuscirà mai a fronteggiare. La sua condizione da depresso rimarrà per sempre tale e nessuno sforzo servirà davvero. Non esistono aspettative nel futuro del depresso.
Per prevenire le ricadute si possono consigliare incontri di follow-up con cadenza dapprima mensile eppoi sempre meno frequenti, lo svolgimento di una regolare attività fisica che tende a mantenere alto il tono dell’umore, letture di auto-aiuto sull’argomento.


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